Sul rapporto “tecnico accordatore – pianista”

AIARP a Roma

Di seguito la trascrizione della relazione presentata da Marcello Tarquini a nome del Presidente AIARP Luciano Del Rio alla Tavola Rotonda promossa da Cidim, AUAN, PIAMS, Ministero della Cultura in occasione del Convegno “Il pianoforte e la musica pianista italiana dall’Ottocento a oggi”, tenutosi a Roma il 7 luglio scorso.

Buongiorno. Permettetemi in primo luogo di rivolgere a tutti i presenti un cordiale benvenuto e di offrirvi una breve presentazione a nome mio e del mio Presidente Luciano Del Rio che, per problemi famigliari, non ha potuto essere presente oggi. Mi chiamo Marcello Tarquini, svolgo l’attività di accordatore da moltissimi anni e faccio parte del Consiglio Direttivo di AIARP, l’Associazione Nazionale dei Tecnici Accordatori Riparatori di Pianoforti che riunisce oggi circa 160 Soci su tutto il territorio italiano.

 

Due parole sull’Associazione

La storia della nostra Associazione è raccontata in un volume che fa bella mostra di sé nel catalogo delle Edizioni Curci, ed è quindi a disposizione di chiunque voglia approfondirla; qui mi limiterò a tracciarne un quadro estremamente sintetico, più che altro per offrire a tutti voi un contesto di riferimento che permetta di comprendere meglio e più a fondo quanto diremo oggi. AIARP nasce a Bolzano 53 anni orsono; l’occasione che ne permette la fondazione è quella del Congresso annuale che Europiano – la grande associazione paneuropea dei tecnici e riparatori di pianoforti – organizza nel 1969 proprio in Italia. All’incontro partecipano una trentina circa tra tecnici e importatori italiani di pianoforti, che costituiscono il nucleo originario dell’associazione.

Negli anni immediatamente successivi alla fondazione, AIARP si dà uno Statuto e Organi direttivi. Obiettivo principale dell’Associazione è l’organizzazione di opportunità periodiche di formazione tecnica su base nazionale ed internazionale, la diffusione della cultura del pianoforte sul territorio italiano e la certificazione delle competenze dei propri Associati. Di pari passo con l’affinarsi dei meccanismi di governo, l’Associazione si qualifica sempre più, delimitando in maniera netta i ruoli delle diverse componenti. L’appartenenza ad AIARP in qualità di socio viene riservata ai soli Tecnici; mentre agli importatori, e più in generale agli imprenditori di settore che condividono i principi fondanti dell’Associazione, viene offerta la possibilità di accedere allo status di Sostenitori.

Per ovvie ragioni, la relazione che andrò ad enunciare oggi riguarderà principalmente i tecnici professionisti operanti sul territorio Nazionale – e non i Soci Sostenitori. Faccio questa precisazione in quanto molti tecnici – o presunti tali – si appropriano ingiustamente di tale riconoscimento, ben sapendo di mentire per la mancanza di quella indispensabile e necessaria formazione tecnica continua che, nel nostro come in tutti i settori dell’economia, è alla base della professionalità.

 

Accodatore / pianista

Veniamo ora al cuore del mio intervento, che tratta del rapporto fra tecnico-accordatore e pianista. Su questo punto voglio essere molto chiaro fin da subito: e desidero innanzitutto dire a chiare lettere che il desiderio principale dell’accordatore, vuoi per ragioni deontologiche vuoi per ragioni squisitamente pratiche, è sempre e soltanto quello di instaurare con il pianista il rapporto migliore possibile. Solo a queste condizioni, infatti, si potranno ottenere i risultati più soddisfacenti.

Il rapporto fra accordatore e pianista non è, in fondo, molto diverso da quello che lega ad esempio un meccanico ad un pilota di un’auto sportiva; o un preparatore atletico ad un campione di qualsiasi sport dove siano richieste altissime prestazioni fisiche e impareggiabile padronanza tecnica. Se non c’è la reciproca fiducia è difficile che si condividano obiettivi, ambizioni, programmi di lavoro; e laddove non c’è pianificazione, è quantomeno improbabile attendersi risultati soddisfacenti.

Insomma: che fra pianista e accordatore ci debba essere piena collaborazione è un dato ovvio; tuttavia, per varie ragioni spesso indipendenti dalla volontà dell’uno e dell’altro, spesso questo fatto non si concretizza. Al contrario, anche in occasioni importanti, che coinvolgono nomi di primissimo piano del panorama musicale internazionale, pianista e accordatore hanno a volte soltanto il tempo di sfiorarsi appena… con risultati certamente non lusinghieri sul fronte del risultato musicale finale.

 

Il problema dei costi

Sarò franco: all’origine delle difficoltà di rapporto fra tecnici e pianisti c’è innanzi tutto un problema di costi. E mi spiego subito.

Il pianoforte da concerto è una macchina musicale estremamente complessa. Vi invito a guardarlo per un istante con gli occhi di un accordatore: e comincerò col dirvi che è composto mediamente da circa 12.000 parti. Per assicurare la resa sonora migliore, ciascuna di queste componenti deve operare con la massima efficienza, entro margini di tolleranza estremamente contenuti. Di più: poiché ogni concerto ha una location, un organico, un esecutore e un pubblico che gli sono propri, molte di queste parti devono essere regolate in funzione di queste variabili nelle ore immediatamente precedenti al concerto stesso, a volte persino fra una frazione e l’altra della performance. Anche perché sulle prestazioni complessive del pianoforte esercitano un’influenza notevole anche le condizioni climatiche, che a quanto pare sono sempre meno prevedibili e assai poco rassicuranti.

 

Guardiamo ora la faccenda dal punto di vista del pianista. Come sapete molto meglio di me, ogni esecutore ha una sua propria storia, percorre un cammino di formazione che dura per tutta la vita e che implica, fra le altre cose, l’appartenenza ad una determinata scuola pianistica, il possesso di tecniche e abilità specifiche… per non parlare del programma, che ci si augura diverso, originale – in altre parole non uguale a quello di altri pianisti.

Il pianista, in estrema sintesi, viene proiettato in un ambiente che il più delle volte non conosce o non ricorda in tutte le sue sfaccettature; inoltre si ritrova sotto le mani uno strumento che non è il suo; ed è in qualche modo costretto a mettere a sistema quasi in tempo reale tutte le sensazioni strane e contraddittorie che giungono alle sue orecchie e alle sue mani, coniugandole con l’idea di performance che si è formato e che desidera esprimere.

 

Dialogare e collaborare

Per tutte le ragioni sopra esposte, la regolazione delle parti del pianoforte (sia essa accordatura, regolazione della meccanica, intonazione…. fate voi) esercita un’influenza enorme sul risultato acustico della performance; ragion per cui è di fondamentale importanza che l’accordatore professionista dialoghi con il pianista prima, durante e dopo il concerto. Tornando per un attimo all’immagine del pilota di auto sportive: quanti di voi seguono anche solo per sentito dire il mondo delle corse automobilistiche sapranno benissimo che lo staff tecnico è in costante collegamento radio con i piloti sul circuito, e che dalle scelte tecniche dipende larga parte dei piazzamenti finali.

Possiamo noi forse avanzare l’ipotesi che un concerto di alto livello sia inferiore alla prestazione di un pilota, o che un pianoforte da concerto sia una macchina meno avanzata di un’auto da corsa? Credo di no: eppure spesso e volentieri questa auspicata collaborazione tecnica non avviene se non per sommi capi, in tutta fretta e quasi di nascosto, quasi si trattasse di una rivendicazione carbonara. In sostanza, per assicurare il risultato migliore e permettere al pianista di suonare nelle condizioni ideali, pianista e accordatore avrebbero bisogno di dialogare e confrontarsi sullo strumento per parecchie ore; ma questo fatto non si verifica quasi mai.

Al contrario, nella maggior parte dei concerti che ci capita di servire – siano essi eventi isolati o appuntamenti di una collaudata stagione istituzionale – siamo chiamati ad accordare il pianoforte all’ultimo minuto, prima della prova dello strumento e dopo che lo stesso è appena stato depositato sul palco dai trasportatori. Addirittura, come molti degli associati AIARP sottolineano non senza un certo sarcasmo, spesso accade che l’accordatore debba lavorare mentre altri intorno a lui si danno da fare per ultimare i preparativi per il concerto. Ma se la presenza di un tecnico audio che posiziona silenziosamente un microfono può ancora essere accettata, pensate a come possa essere condotta l’accordatura di uno strumento da concerto mentre il personale di sala passa l’aspirapolvere!

 

Tutto questo avviene soprattutto perché la presenza prolungata di un pianoforte, del tecnico e del pianista in loco implica costi maggiori, che risultano proibitivi per le condizioni economiche in cui versano attualmente gli organizzatori di concerti. Come AIARP abbiamo spesso sollevato il problema, e continueremo a farlo; ma all’elenco delle difficoltà desideriamo affiancare una serie di considerazioni costruttive, con le quali aspiriamo a dare il nostro contributo perché si arrivi in qualche modo ad una mediazione che assicuri risultati migliori sul fronte artistico e il rispetto del lavoro dei tecnici, a cui vanno garantite indubbiamente condizioni di lavoro migliori.

 

Nella pratica

Un primo punto rassicurante riguarda la messa a punto della parte meccanica. Salvo eccezioni, il sistema Tastiera / Meccanica non crea mai grossi problemi, può essere regolato a dovere anche molto tempo prima della performance e di norma viene controllato in laboratorio. Non rientra quindi in genere nelle operazioni che si eseguono sul palco; e questo è un vantaggio, perché il tempo risparmiato nella conduzione preventiva di questi interventi può essere riservato per intero al protagonista principale degli interventi tecnici che si eseguono in occasione dei concerti: l’accordatura.

Parlando nello specifico dell’accordatura, occorre innanzitutto partire da una considerazione imprescindibile: non esistono “regolazioni-campione” fra cui scegliere all’occorrenza quella che soddisfi l’esecutore di turno. L’accordatura, infatti, è molto dipendente dal modo di concepire il suono; e di conseguenza è estremamente personale.
Ridurre l’accordatura a un allineamento generico delle frequenze di ciascuna corda ai valori rilevati da un tuner elettronico significa troncare sul nascere anche la più piccola personalizzazione, eliminare la possibilità di modellare il suono del pianoforte sulle caratteristiche dell’ambiente, impedire al pianista di esercitare richieste di natura timbrica…

Non è quindi un caso che la “battaglia al tuner” sia una delle dispute più accese fra gli accordatori professionisti; questo, beninteso, non per una opposizione ideologica alla macchina – che di per sé è molto utile per un riscontro esatto di quanto si sta facendo – ma perché sul crinale che separa accordatura con il tuner e accordatura ad orecchio si gioca la partita della professionalità dell’accordatore.

 

A costo di risultare riduttivo o semplicistico, vi dirò quindi ora in poche parole come la penso: il vero Accordatore professionista accorda ad orecchio. Punto e basta. Il Tuner, infatti, tende ad ottenere il suono più “perfetto” e “pulito”; ma il suono del pianoforte non è né deve essere “perfetto” o “pulito”!

La progressione delle frequenze non segue uno schema geometrico regolare; al contrario, per via della questione infinita della inarmonicità propone una serie di anomalie fra le quali è necessario mediare per giungere ad un compromesso soddisfacente. A titolo di esempio, quarte e quinte possono essere fra di loro in perfetto accordo… ma in totale disaccordo con terze e seste… e viceversa. Ma proprio questi problemi, che possono rendere impervia qualsiasi accordatura, consentono al tecnico accordatore di effettuare scelte che permettono di plasmare il suono, adattandolo ad esempio alle richieste del pianista, al tipo di repertorio, alle caratteristiche dell’ambiente di ascolto.

 

Il Tecnico deve quindi ascoltare un suono o un accordo, generato da vibrazioni di corde armoniche, valutarlo e considerare tutte le problematiche che lo compongono, non dimenticando che in quantità giusta, anche quelle negative contribuiscono a migliorare il risultato finale, e decidere se quello è il suono desiderato e non più migliorativo. Tenete presente anche che se un suono è statico è brutto; se invece è mosso risulterà armonioso e dolce. Spesso, i pianisti che hanno cura del suono richiedono all’accordatore un leggero sfasamento del coro per ottenere così una piacevole modulazione. L’accordatura, insomma, altro non è che una scordatura, ma deve essere gradevole all’orecchio: un concetto che, come dicevo poc’anzi, si trova all’opposto esatto dell’accordatura eseguita con il Tuner.

In sintesi: laddove una accordatura eseguita con il solo ausilio del tuner restituisce un suono freddo pari a quello degli strumenti campionati, una accordatura ad orecchio offrirà sempre e comunque la possibilità di generare un suono vivo, personale, artistico. Del resto non è un caso se, fra i requisiti di ammissione ad AIARP, la capacità di eseguire una accordatura ad orecchio sia decisiva: solo chi è capace di accordare ad orecchio può superare la prova di secondo livello che dà accesso alla tessera associativa.

 

Il problema dell’intonazione

A fianco dell’accordatura c’è poi il tema dell’intonazione: una procedura spesso trascurata o non tenuta nella dovuta considerazione, che tuttavia, al pari dell’accordatura, permette di plasmare caratteristiche fondamentali del suono come il tempo di attacco, la morbidezza del tocco, la correzione di eventuali anomalie dinamiche… Anche in questo caso, poiché l’intonazione produce variazioni significative nel comportamento dello strumento, sarebbe opportuno eseguirla insieme al diretto interessato, vale a dire il pianista, sottoponendo anche al suo giudizio le scelte che generano le ripercussioni più significative sul risultato sonoro.

E qui si torna al tema del tempo – e dei costi – legati alla disponibilità dello strumento; che dovrebbe essere posizionato nella sala da concerto con ragionevole anticipo. Spesso invece si è costretti a portarlo all’ultimo momento: e se il pianoforte arriva già accordato e registrato è già un bene; in caso contrario infatti si rende necessario accordarlo in loco (una cosa da sconsigliare a priori, in quanto l’accordatura ha necessità di assestamento, come il pane di lievitare).

Nello scenario tipico e ahimè peggiore, il pianista arriva all’ultimo momento: c’è a mala pena il tempo per provare lo strumento senza incontrare l’Accordatore, si apre la Sala e l’Accordatore ha appena il tempo di – come si suole dire – “pulire l’accordatura”, e tutto è risolto. Quanto sopra descritto non è sicuramente ciò che desiderano l’Accordatore e il Pianista; purtroppo però è quanto accade molto spesso al giorno d’oggi. E queste sono, per sommi capi, le normali condizioni che un Tecnico deve affrontare ad ogni Concerto.

 

Dulcis in fundo….

L’impegno è sempre al massimo, ma – questa non è colpa da attribuire ai pianisti – nessuno, a concerto terminato, menziona o ringrazia l’accordatore per l’apporto o per il lavoro svolto dall’accordatore. Arturo Benedetti Michelangeli concedeva massima fiducia al tecnico da Lui prescelto, sapendo che gli eventuali problemi riscontrati li avrebbe sicuramente risolti Lui con i dovuti accorgimenti. Ma tale era la sua sicurezza a livello musicale che anche le più piccole imperfezioni le superava, riconoscendo sempre però al tecnico l’ottimo lavoro svolto.

Oggi spesso si tende ad incolpare la Tastiera troppo dura o troppo tenera, il Suono aspro e flebile, la Martelliera troppo impregnata, dimenticando che spesso e volentieri i problemi che si verificano in ambito musicale sono da ricondurre all’insicurezza del Pianista. In questi casi l’Accordatore non può fare miracoli, dovendosi adattare il più velocemente possibile a quel che passa il convento.

Al cospetto di certi pianoforti, Michelageli si sarebbe rifiutato di suonare.

 

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